Numero 19.

 

JUNGLA CRUDELE

 

    di Carlo Monni

 

 

1,

 

 

            L’uomo che entrò nella palestra dell’Accademia dello S.H.I.E.L.D. a New York quella mattina d’autunno era un afroamericano alto dal fisico muscoloso ma proporzionato. Aveva la testa rasata ed una corta barbetta gli ornava le labbra ed il mento, a coprire l’occhio sinistro sfoggiava una vistosa benda nera. Nero era anche il suo abbigliamento compreso uno spolverino leggero che ondeggiava ad ogni suo passo.

            Si fermò davanti ad un gruppo di agenti nella tradizionale divisa blu e disse:

-Suppongo che stiate aspettando me.-

-E lei sarebbe?- chiese una donna dai capelli rossi in tono duro.

-Primo Sergente Marcus Johnson, 75° Reggimento Ranger degli Stati Uniti in congedo. Sono il vostro consulente per la missione che state per iniziare.-

-E su cosa dovrebbe consigliarci esattamente?-

-Su come restare vivi, suppongo.-

-Siamo tutti agenti addestrati con diverse missioni alle spalle in situazioni difficili, perché dovremmo aver bisogno dell’assistenza di un esterno stavolta?- intervenne un altro agente: biondo sui trent’anni.

-Immagino che sia perché voi non siete mai stati dove intendono mandarvi mentre io sì.- rispose, cupo, Johnson.

-E…?-

-E sono tornato vivo.-

 

            Se pensavate che l’aver finalmente distrutto l’Hydra[1]significasse finalmente un po’ di riposo per il vostro Nick Fury, beh, sbagliavate. C’erano un sacco di questioni in sospeso da sistemare. Di alcune di esse si stava occupando un team di esperti in faccende giuridiche e finanziarie, ad altre stavano pensando alcuni miei agenti.[2]  Di una in particolare avevo voluto occuparmi personalmente.

            Il Barone Wolfgang von Strucker, il Supremo Hydra, alzò appena la testa quando la porta della sua cella si aprì poi, riconoscendomi, si alzò dalla sua branda ed accennò un sorriso.

-Mi aspettavo una tua visita, Fury.- disse.

-E ti aspettavi anche che ti annunciassi che stai per essere trasferito in una sezione speciale del carcere dell’Aja in attesa di essere giudicato dalla Corte Penale Internazionale per Crimini contro l’Umanità? Mi occuperò personalmente di scortarti a destinazione.-

-Non mi dici nulla che non mi aspettassi. Sarà un piacere fare un ultimo viaggio insieme, vecchio nemico. Sei qui solo per questo?-

-Volevo anche darti un’ultima occasione di dirmi chi è l’Hydra Imperiale e come posso rintracciarlo.-

            Strucker scoppiò a ridere e replicò:

-Sei davvero così ingenuo, Fury, da credere che avrei risposto a queste domande?-

            No, non ero così ingenuo, ma avevo voluto comunque tentare e non solo per offrire un’‘ultima opportunità al mio più mortale nemico.

-Non rintraccerai mai l’Hydra Imperiale.- aggiunse Strucker -Lui resterà nascosto e quando sarà il momento ricostruirà l’Hydra ancora più forte. Taglia un braccio e ne ricresceranno due, ricordi?-

            Il tono della voce di Strucker mi disse proprio quello che volevo sapere: il mio vecchio nemico aveva un motivo personale per proteggere il suo secondo in comando. Dovevo solo capire quale e mi stava venendo un’idea al riguardo.

 

            Avevo detto di chiamarmi Marcus Johnson e non era una bugia: era il nome che avevo usato per tutta la mia vita cosciente e con cui mi ero guadagnato i gradi. Solo di recente avevo scoperto che il mio vero nome era Nicholas Joseph Fury Jr, che mio padre era l’omonimo Direttore Esecutivo dello S.H.I.E.L.D. e che mia madre era un ex agente della C.I.A. sotto protezione.  Di colpo mi ero ritrovato con una famiglia intera di cui sapevo poco o nulla e molte cose a cui adattarmi.

         Tutto questo era ignoto al gruppo di agenti che era con me nel jet dello S.H.I.E.L.D che ci stava portando in un luogo dove avevo letteralmente lasciato una parte di me e ed avrebbe dovuto rimanerlo fino alla fine. Volevo essere giudicato per quello che ero non per essere il figlio di qualcun altro.

-Ci siamo.- annunciò il pilota del nostro jet.

         Guardai dall’oblò e mi tornarono alla mente ricordi fin troppo vivi.

 

 

2.

 

 

            La piccola nazione del Centro America si chiamava Tierra Verde ed avrebbe potuto essere un piccolo paradiso ma anche in un paradiso possono annidarsi i serpenti.

 Il luogo non aveva un nome e se mai lo avesse avuto era stato ormai dimenticato. Per la verità non era esatto nemmeno questo perché gli indigeni della zona, una delle poche tribù dell’America Centrale rimaste quasi del tutto allo stato cosiddetto selvaggio, un nome ce l’aveva per quel posto e poteva essere liberamente tradotto come la dimora del diavolo. Un nome adatto per un luogo dove si raffinava la cocaina, pensò il Primo Sergente Marcus Johnson.

Era un’operazione congiunta con la D.E.A.,[3] l’agenzia federale antidroga americana in cui la squadra del 75° Reggimento Ranger di cui Johnson faceva parte avrebbe svolto il lavoro pesante, tanto per cambiare.

 Arrivarono al limite della radura dove sorgeva il laboratorio affiancato da altre costruzioni, tutte chiaramente dei prefabbricati, e si appostarono senza farsi vedere.

-Non vedo sentinelle, strano.- disse Johnson.

-Forse, vista la zona, hanno pensato che non fossero necessarie.- commentò un uomo che indossava una mimetica senza mostrine, il capo degli agenti della D.E.A. aggregati alla squadra e che tecnicamente era anche il capo missione.

-Del tutto illogico.- replicò il Tenente che comandava la squadra -E c’è anche qualcos’altro che non mi convince: questo posto è troppo silenzioso. Non ci sono nemmeno i tipici suoni degli animali. È qualcosa di irreale. Primo Sergente, se la sente di prendere con sé un paio di uomini ed andare laggiù a dare un’occhiata?-

-Naturalmente, Signore.- rispose Johnson e fece un cenno a due uomini del gruppo -Miller, Morrison, con me.-

            Fu lui il primo a scattare seguito dagli altri due. Corsero a zig zag per evitare proiettili che non arrivarono. Nessuna reazione dalle baracche eppure non potevano non averli visti. Johnson aveva un brutto presentimento.

            I suoi peggiori timori furono confermati quando arrivarono più vicini agli edifici.

-Guardi, Sergente!- urlò uno dei soldati.

            Sul terreno giaceva un corpo umano. Bastò una rapida occhiata per capire che era morto da qualche tempo e che era orribilmente straziato e semidivorato come se un branco di animali feroci si fosse accanito su di lui.

-Qui ce n’è un altro!- gridò il secondo soldato.

            Stesse condizioni del primo. I fucili a terra indicavano che erano le famigerate sentinelle. Qualunque cosa li avesse assaliti le armi non erano state molto utili.

            La porta del laboratorio era aperta e Johnson aveva ormai un’idea chiara di cosa avrebbe trovato all’interno.

            Non si sbagliava: corpi straziati, provette a terra ed un odore strano che ancora aleggiava nell’aria, un odore che non era solo quello della droga.

Qualcosa era arrivato improvvisamente ed aveva massacrato gli uomini e devastato il luogo.

-Ma che è successo?-chiese ad alta voce Johnson.

            Ovviamente non ebbe risposta.

 

            Una voce di donna strappò Marcus Johnson ai suoi ricordi:

-Stiamo per atterrare, Sergente. Stia pronto a scendere.-

-Sono già pronto, Agente Jacks, giusto?.

-Corretto.- rispose la giovane donna che indossava una versione verde della classica uniforme dello S.H.I.E.L.D. ed i cui capelli rossicci erano trattenuti da una bandana di un rosso acceso.

            Johnson si accorse che lei lo stava fissando con una strana espressione sul viso.

-Cosa c’è, Agente?- le chiese.

-Nulla… è che lei mi ricorda qualcuno.- rispose la ragazza.

-Forse l’attore Samuel L. Jackson, mi hanno detto che gli somiglio un po’.-

-No, non è quello… ma in fondo non ha importanza.-

            Johnson si limitò a sorridere l’Agente Gertrude Jacks non sapeva chi fosse veramente lui e Marcus non aveva intenzione di rivelarlo a lei ed agli altri almeno per il momento.

            Erano a bordo di un minivan volante che si era staccato dal bus ed atterrò nella radura senza problemi. Ne scesero in sette con le armi in pugno in un silenzio irreale.

-Dove sono tutti?- chiese uno.

            Marcus Johnson, alias Nick Fury Jr, temeva di conoscere la risposta.

 

            Era accaduto appena il giorno prima ma poteva anche essere stata un’eternità fa per come mi sentivo in quel momento.

         Mi trovavo in un ufficio nella sede ufficiale dello S.H.I.E.L.D a New York e davanti a me, seduto dietro una scrivania, c’era un afroamericano anziano ma ancora prestante che indossava la classica divisa blu. Lo guardai dritto negli occhi e gli dissi:

-Ci vado anch’io.-

-Non so se è una buona idea.- rispose Gabriel Jones, Direttore delle Operazioni Speciali dello S.H.I.EL.D. -Non sei nemmeno un agente.-

-Ma sono anche l’unico che è stato laggiù e conosce la zona. In questa missione non puoi perdere tempo ad addestrare gli agenti. Domani potrebbe essere troppo tardi. Anzi, forse è già troppo tardi.-

-Preferisco non pensarci. Va bene, farò in modo che tu sia aggregato alla squadra di salvataggio come consulente. Cerca di non farti ammazzare, però. Tua madre non mi perdonerebbe mai.-

-Farò del mio meglio… nonno.- risposi sogghignando.

 

 

3.

 

 

           

            Il Tenente Moore era decisamente perplesso.

-Chi Diavolo può aver combinato questo casino?- chiese retoricamente.

-Un diavolo molto in gamba e determinato, direi.- rispose il Primo Sergente Johnson -Le sentinelle la fuori hanno sprecato un sacco di proiettili contro chi li ha assaliti ma senza combinare nulla. In compenso l’assalitore… o gli assalitori, perché è probabile che fossero più di uno… li hanno letteralmente squartati a mani nude.-

-E questo cosa le suggerisce, Sergente?-

-Superveloci o invulnerabili o forse entrambe le cose. Super forti di sicuro. Questa gente è stata assalita ed uccisa da superumani. -

-I demoni di cui parlano i nativi.- mormorò il Caporale Perez.

-Non credo nei demoni. Chi ha aggredito questa gente era molto reale.- ribattè il Tenente.

-Ma perché lo hanno fatto?- chiese l’Agente della D.E.A.  Giordano -Non per impadronirsi della droga perché direi che non hanno portato via nulla. Sembra che abbiano ucciso tutti per il puro gusto di farlo.-

-E per mangiarli.- intervenne il Soldato Scelto Miller -I cadaveri mostrano chiari segni di essere stati sbranati e mancano intere parti. Sembra proprio che dopo averli uccisi gli assalitori abbiano banchettato con i loro cadaveri.-

            Un brivido passò tra i presenti. L’idea del cannibalismo risvegliava in loro timori ancestrali. Alla fine il Tenente parlò:

-Bruciate tutto e poi andiamocene da qui. Ormai non ha senso che restiamo.-

            Non lo avrebbe mai ammesso ma quel posto lo rendeva nervoso, una sensazione che i suoi uomini condividevano.

            Mentre il laboratorio bruciava riducendo in fumo cocaina per svariati milioni di dollari, la squadra si inoltrò nella jungla diretta verso il punto di raccolta.

            Nel frattempo stava calando il buio e qualunque rumore non faceva che aumentare il nervosismo degli uomini. Improvvisamente un grido arrivò dalla retroguardia seguito da un colpo di arma da fuoco.

 

            Scossi la testa e lasciai da parte i ricordi concentrandomi sul luogo ed il momento.

-Qui non c’è nessuno.- dissi.

         Per qualche oscuro motivo noto solo a qualche burocrate, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Controllo della Droga e la Prevenzione del Crimine aveva deciso di mandare due suoi funzionari ad ispezionare quel luogo. Il risultato era stato che un paio d’ore dopo il loro arrivo era partito un segnale di SOS.

I tentativi di mettersi in contatto con la delegazione ONU non avevano avuto alcun successo: radio e cellulari sembravano essere morti. Il governo locale aveva mandato una squadra di soccorso che era a sua volta svanita nel nulla. Una seconda squadra era stata mandata da una nave americana che si trovava al largo delle coste di Tierra Verde ma anche questa non aveva più dato notizie di sé. A questo punto la palla era passata allo S.H.I.E.L.D. ed io mi ero offerto volontario per tornare all’inferno.

La radura era vuota a parte i resti del laboratorio e l’equipaggiamento della delegazione sparso per terra.

-Che cosa ne pensa, Sergente?- mi chiese Gertrude Jacks.

-Li hanno presi, è evidente.- risposi -A quest’ora di loro deve essere rimasto ben poco.-

-Se la pensa così, perché è voluto venire?-

-Perché voi non avevate altra scelta che cercare di salvarli e senza sapere a cosa andavate incontro avreste fatto la fine degli altri.-

-Ho letto il suo rapporto. Sapevo cosa ci aspetta.-

-Leggere un rapporto non è come vivere quel che c’è scritto.-

         Prima che Jacks potesse replicare, udimmo un rumore arrivare dal limitare della radura ed all’unisono puntammo le nostre armi in quella direzione aspettando.

 

         Nia Jones entrò nella grande stanza e si fermò davanti alla cattedra. Fece un lungo respiro e finalmente parlò;

-Buongiorno a tutti voi. Mi chiamo Nia Gabrielle Jones e sono la vostra nuova insegnante di Politica internazionale. Giusto per sgombrare il campo da equivoci e chiacchiere, anche se il mio cognome è piuttosto comune, non è una coincidenza che sia lo stesso del Direttore delle Operazioni Speciali e che come secondo nome abbia il suo. È mio padre. Ovviamente qualcuno di voi penserà che io abbia ottenuto questo posto per nepotismo, non contesterò simili accuse e lascerò che siate voi a giudicare se sono all’altezza oppure no.-

            Si fermò è guardò gli uomini e le donne seduti nell’emiciclo davanti a lei? Li aveva convinti? Solo il tempo lo avrebbe detto.

 

 

4.

 

 

         Avevamo tutti i nervi tesi. Sarebbe bastato un nonnulla perché qualcuno troppo nervoso sparasse.

-Spero che abbiate con voi armi… come dire? … non convenzionali.-

-Siamo agenti dello S.H.I.E.L.D. addestrati a combattere qualsiasi minaccia non convenzionale.- ribattè Gertrude Jacks -Abbiamo armi adatte ad ogni evenienza.-

-Lo vedremo presto.- replicai -In ogni caso, prenda questi.

         Le porsi dei caricatori adatti sia per le pistole che per i fucili.

-Abbiamo già i nostri.- replicò lei.

-Questi sono speciali.-

         Lei stava per dire qualcosa quando, finalmente, il fogliame si aprì e ne uscì barcollando una giovane donna bionda con gli abiti a brandelli che vedendoci disse:

-Aiuto!-

         Fece altri due passi e poi crollò a terra. Ci precipitammo verso di lei. Uno degli agenti le sollevò la testa e le versò dell’acqua sulle labbra. Lei aprì gli occhi, ci guardò e mormorò:

-Grazie.-

         Io la sentii appena. I miei pensieri erano corsi ad un altro tempo a ricordi che non volevano saperne di abbandonarmi,

 

         I due uomini in fondo alla fila erano scomparsi come se la jungla li avesse inghiottiti. Unica traccia una scia di sangue Il tenente impiegò solo un paio di secondi a prendere una decisione.

-Cerchiamoli.-

            Seguirono le tracce di sangue fino a raggiungere una piccola radura dove sorgeva un grande albero e fu appesi ai suoi rami che trovarono il Caporale Perez ed il Soldato Miller o meglio quello che ne restava.

            I due agenti della D.E.A. non ressero a questo nuovo spettacolo e vomitarono. Il resto della squadra era in preda ad emozioni contrastanti.

-Guardate!-

            Su di un ramo era apparso un giaguaro. Nessuno di loro era un esperto ma era ovvio che era più grosso del normale. Li fissò ed emise un forte ruggito.

            E fu allora che alle loro spalle si aprì l’inferno.

 

            La voce di Gertrude Jacks mi riportò al presente.

-Tutto bene, Sergente? Mi è sembrato un po’… distante.-

         Feci una specie di sorriso e risposi:

-Al contrario: ero sempre qui… solo con la mente in un altro tempo.-

-Non sono certa di capire.-

Indicai la mia benda e dissi:

-Vede questa? Non la porto perché mi piace atteggiarmi a pirata o qualcosa di simile. Avrei potuto farmi installare un occhio artificiale in tutto simile ad uno vero, magari anche bionico con qualche extra. Ci sono industrie che li fabbricano, ma ho preferito la benda perché mi aiuta a non dimenticare… a non dimenticare questo posto.-

-Come le ho detto, ho letto il suo rapporto prima di partire ma mi piacerebbe comunque sentire com’è andata dalla sua viva voce.-

-Ha lo stomaco forte, Agente Jacks?-

-Mi metta alla prova.-

-Bene e non dica che non l’avevo avvertita.-

         E cominciai a raccontare.

 

 

5.

 

 

            Emersero dal buio ruggendo a loro volta. Piombarono sui soldati di retroguardia sbranandoli in un istante.

La squadra era composta da militari addestrati, a parte i due agenti della D.E.A. che pure non erano dei novellini, e la loro reazione fu immediata. Si voltarono di scatto e puntarono le loro armi. Davanti a loro c’erano esseri che sembravano grossi giaguari antropomorfi.

Si potrebbe pensare che in un mondo popolato da superesseri quella vista non avrebbe dovuto sorprenderli, eppure esitarono sia pure per una frazione di secondo, poi il Tenente Moore gridò;

-Sparate, Maledizione! Ammazzateli!-

            Erano militari addestrati, abbiamo detto, e l’addestramento ebbe la meglio sulle loro paure ataviche così spararono e le loro pallottole colpirono tutte il bersaglio… ma non ottennero alcun effetto.

-Sono invulnerabili!-esclamò Moore.

            Fu l’ultima cosa che disse poi una di quelle creature gli saltò addosso e lo azzannò alla gola. Morì in un istante.

            Il Primo Sergente Marcus Johnson vide cadere altri uomini e capì che c’era una sola cosa da fare.

-Ritiriamoci!- ordinò.

            In quel momento uno di quegli esseri lo colpì al volto con i suoi artigli. Johnson sentì un dolore atroce all’altezza dell’occhio sinistro e sentì il sangue scorrere sulla guancia. Istintivamente sparò con la sua pistola.  L’essere fu sbalzato indietro dall’impatto ma si riprese subito.

            La vista di Johnson era ottenebrata. Il sangue scorreva copioso dalla ferita al viso. Ancora gli artigli lo colpirono alla schiena. Barcollò e cadde in avanti finendo in un vicino torrente. La corrente lo trascinò lontano mentre udiva le grida dei suoi compagni ed i ruggiti dei demoni giaguaro.

 

            Gertrude Jacks aveva ascoltato il racconto in silenzio. Alla fine disse:

-Li ha definiti demoni, perché?-

-Perché non ho una definizione migliore..- replicò Johnson -Non erano umani, nemmeno mutati e neanche alieni, non nel senso tradizionale almeno. Il torrente mi trascinò lontano da loro e sfociò nel vicino fiume la cui corrente mi trascinò ancora più lontano. Non fecero nemmeno un tentativo di inseguirmi. Forse non potevano lasciare il loro territorio o magari temevano l’acqua o più semplicemente non gli interessavo. Chi può saperlo? Mi ritrovarono più morto che vivo, il mio occhio sinistro era andato ed io ero stato quello fortunato. Dopo le prime cure fui trasferito d’urgenza negli Stati Uniti al Walter Reed.[4] In seguito ho saputo che secondo gli indigeni questo luogo sarebbe maledetto, consacrato ad un feroce e spietato dio giaguaro e che chiunque vi fosse entrato senza il suo permesso ne avrebbe pagato il prezzo con il suo sangue.-

-Come quei trafficanti di droga e la sua squadra… e i membri della delegazione ONU. Per questo era così sicuro che fossero morti.-

-Quegli esseri hanno massacrato dei soldati delle forze speciali superbamente addestrati in cinque minuti, quanto crede che abbiano potuto resistere dei burocrati contro di loro?-

-Ma quella donna è riuscita a sfuggirgli. È ancora viva.-

-Già e mi chiedo il perché.-

-Forse è il momento di farle qualche domanda.-

            Gertrude si avvicinò alla donna che stava bevendo avidamente da una borraccia, si presentò e le chiese:

-Se la sente di rispondere a qualche domanda, Miss…?-

-Strauss, Helga Strauss. Sono austriaca. Mi chieda pure quello che vuole, Agente Jacks.-

-Molto semplice: che cosa è successo a lei ed ai suoi compagni?-

-Eravamo arrivati da poco. Dovevamo fare solo un giro di ispezione ma non abbiamo nemmeno cominciato. Quelle creature sono apparse all’improvviso e ci hanno assalito. Hanno ucciso tutti.-

-Tutti ma non lei. - intervenne Johnson -Perché?-

            La sola risposta fu il silenzio.

-Lei è molto calma per l’esperienza che ha passato.- insistette Johnson -Ne parla con freddezza, come se non la riguardasse. Come se lei non fosse chi dice di essere.-

            La donna sollevo lo sguardo su di lui, sorrise e disse:

-Lei è molto perspicace, Sergente Johnson. Ha ragione. Io non sono più Helga Strauss,-

-Sa chi sono?-

-So molte cose su di lei, su voi tutti. Prima di partire il mio signore mi ha informata. Sapeva che sareste venuti.-

-Il suo signore?-

-Il dio giaguaro, il signore di questo posto. Mi ha offerto di essere una delle sue spose e perpetuare la sua stirpe. Ho accettato naturalmente. Molto meglio che essere divorata viva.-

-Il dio giaguaro… dunque esiste davvero.- borbottò Gertrude. -Vive davvero qui?-

-Ora è lontano. Si sta occupando personalmente di vendicare due sue discendenti uccise a San Francisco.- continuò la donna

-Il caso delle pantere. Ho letto un rapporto della sede di Los Angeles su quella faccenda.-[5] commentò Gertrude -Prima di partire mi sono informata su questo posto e le sue leggende.-

-Sembra che non le importi che lo sappiamo.- intervenne Johnson.

            Il sole cominciò a tramontare alle spalle della donna gettando strani riflessi sul suo volto. Era uno scherzo della luce o davvero le sue iridi erano diventate gialle? Marcus temeva di conoscere la risposta.

-Non è previsto che voi usciate vivi da qui.- disse Helga Strauss -Tranne forse quelli che avranno il dono del mio signore … il dono che ho avuto io.-

            Il suo volto, il suo stesso corpo iniziarono a trasformarsi.

 

            In pochi attimi Helga Strauss divenne un ibrido tra una donna ed un giaguaro femmina che si liberò dei vestiti come se fossero un fastidio ed anche la sua voce cambiò:

-Morirete stanotte.- disse.

         La voce mutò in un ruggito in risposta al quale ne seguirono altri tutto intorno a noi e subito dopo, come spuntati dal nulla apparvero loro.

         Gli stessi esseri che avevano assalito la mia pattuglia, metà giaguari e metà… no: non esseri umani, non più almeno anche se forse un tempo lo erano stati.

         Non stetti a farmi troppe domande e spinsi via Gertrude Jacks un attimo prima che la cosa che era stata Helga Strauss la colpisse con i suoi artigli. Sentii un dolore acuto ad una spalla. L’artiglio aveva strappato via un lembo della mia tuta in teoria a prova di proiettile. Ignorai il dolore ed il sangue che scendeva copioso. La mia pistola era caduta nel terreno e dovevo recuperarla a tutti i costi se volevo avere almeno una speranza di restare vivo.

 

 

6.

 

 

            L’afroamericano dalla testa rasata e la benda sull’occhio sinistro entrò nel Tipitina Club di New Orleans e si trovò immerso nella semioscurità tipica dei locali notturni che devono ancora aprire per la serata.

-Vieni pure avanti.-

            La voce apparteneva ad una ragazza dalla pelle color ambra che indossava una sorta di tunica africana che le lasciava scoperte le spalle ed i capelli erano avvolti in una specie di turbante, era seduta ad uno dei tavolini.

Molte cose si potevano dire di Marcus Johnson o Nick Fury Jr che dir si voglia, ma non che fosse superstizioso eppure la ragazzina davanti a lui lo metteva a disagio: aveva circa la metà dei suoi anni ma in qualche modo sembrava molto più vecchia.

-E così sei arrivato.- disse -Era un po’ che ti stavo aspettando.-

-Mi aspettavi? Com’è possibile? Nessuno sapeva che sarei venuto qui.- replicò, sorpreso, l’uomo con la benda su un occhio.

-So molte cose. Per esempio so che tu vuoi andare in un luogo proibito e speri di trovare qui qualcosa che ti permetta di sopravvivere al Male che stai andando ad affrontare e forse sconfiggerlo.-

-Ho letto un rapporto che dice che tu hai un modo. Che hai aiutato la polizia di San Francisco.-

-Sì, c’è un modo ma non ho nessuna garanzia che possa funzionare sul terreno del tuo nemico. Agli dei non piace molto invadere il territorio dei loro simili.-

-Ho altra scelta?-

-Nessuna.- ammise Collette Drumm.

 

            Lasciai perdere i ricordi e mi concentrai sul presente. Dovevo recuperare la mia arma prima che fosse troppo tardi.

         Intorno a me udivo grida, ruggiti e spari. Le armi degli agenti dello S.H.I.EL.D. potevano essere efficaci contro i tradizionali superumani ma non contro questi esseri, me l’ero immaginato.

         Finalmente trovai la mia pistola, l’afferrai e mi rialzai di scatto. La giaguara mannara che era stata Helga Strauss aveva afferrato Gertrude Jacks e stava per azzannarla.

-Ferma!- intimai.

         Lei si voltò verso di me e disse:

-La tua arma non può farmi niente.-

-Non è detto.- replicai e sparai.

         Il proiettile la colpì in piena fronte abbattendola. Cadendo riassunse forma umana ed avrei giurato che avesse un’espressione sorpresa.

         Non stetti a pensarci troppo ed aiutai Gertrude a rialzarsi. La sua tuta era a brandelli ma non sembrava avere ferite serie.

-Ma cosa…?- esclamò.

-Proiettili benedetti dal Voodoo. Può sembrarti assurdo ma a quanto pare funzionano.-

-Qualunque cosa ammazzi questi mostri non è affatto assurda per me.- replicò lei.

         Le passai la mia pistola mentre infilavo uno dei miei caricatori speciali in un’altra. Ci aprimmo la strada sparando e correndo verso il minivan che ci aveva portato con sé. Due degli altri agenti si stavano trasformano in quelle creature e Gertrude sparò loro senza pietà.

         Alla fine raggiungemmo il veicolo in quattro. Ci rinchiudemmo dentro e lo facemmo decollare. Ci sentimmo sicuri solo quando non udimmo più i ruggiti,

 

         Il minivan raggiunse il bus dopo pochi minuti. Nessuno dei superstiti aveva voglia di parlare. Si recarono in infermeria e furono medicati. Le ferite per fortuna erano solo superficiali.

            Gertrude Jacks si rinchiuse nella sua cabina, si fece una doccia e poi si mise un’uniforme nuova. Era intenta a scrivere il suo rapporto quando sentì bussare. Aprì e si trovò davanti Marcus Johnson anche lui rimesso a nuovo.

-Volevo chiederti come stavi.- disse.

-Sono viva e suppongo che dovrei sentirmi fortunata.- rispose lei con voce stanca.

-Vorrei aver avuto abbastanza caricatori per tutti, forse ora gli altri sarebbero ancora vivi..-

-Hai fatto quel che potevi, non hai nulla da rimproverarti..-

            Lui scosse la testa poco convinto.

-Ho un’altra cosa da dirti.- aggiunse lui -Il mio vero nome non è Marcus Johnson. Ho scoperto di recente che in realtà mi chiamo Nicholas Joseph Fury Jr e sono…-

-Un altro figlio di Nick Fury? Questa poi!-

            Lui le raccontò tutta la storia ed infine lei commentò:

-Ho fatto l’accademia con tuo fratello Mike, un bravo ragazzo, ed ho lavorato con tuo nonno, una vera roccia e tu gli assomigli.-

-Non so suonare la cornetta.-

-Beh, nessuno è perfetto. Hai fatto pensato di unirti stabilmente aloo S.H.I.E.L.D.?-

-In effetti, sì, ma non vorrei che pensassero che sono un raccomandato.-

-Proprio come Mike. Beh, se qualcuno dovesse provarci ti prometto che gli sparerò nelle palle. Puoi contarci… Nick.-

            E per la prima volta quel giorno Nick Fury Jr rise.

 

 

FINE

 

 

NOTE DELL’AUTORE

 

 

            Vi confesso che questa non è la storia che avrei voluto scrivere ma a volte l’spirazione prende strade tutte sue. C’è solo da sperare che il risultato sia stato soddisfacente.

            Ma ora veniamo alle note:

1)     Gertrude Jacks è stata creata da Jason Aaron &Ron Garney su Wolverine Weapon X #4 datato agosto 2009. Questa è la sua prima apparizione MIT.

2)     Tierra Verde è una delle tante nazioni fittizie che esistono nell’Universo Marvel, giusto in caso provaste a cercarla su una carta geografica.

3)     Il dio giaguaro ed i suoi figli sono una mia creazione originale per quanto ispirata da un’illustrazione di Simon Bisley. Lo vedrete all’opera su Marvel Knights.

Nel prossimo episodio: concluderemo la nostra trilogia sulla famiglia Fury narrando una giornata molto impegnativa di Nick Fury Sr.

            Non mancate.

 

 

Carlo

 

 

 



[1] Vedi episodio #17

[2] Per esempio nello scorso episodio e su Agents of SHIELD #008 e 009.

[3] Drug Enforcement Administration.

[4] Famoso ospedale militare americano

[5] Dipanatosi su Marvel Knights #95/100.